Convegni


L’IMPRESA RESPONSABILE NELLE ANTICHE RADICI IL SUO FUTURO

una tavola rotonda sul tema

IL RUOLO DELLE IMPRESE RESPONSABILI PER UNA VERA CRESCITA


Quest’anno a Davos, all’annuale World Economic Forum, 2500 partecipanti, quaranta capi di Stato e di governo, 300 tra ministri e sottosegretari, 14 premi Nobel, hanno, in quattro giorni, dibattuto stato e prospettive dell’economia. L’esito è stato particolarmente deludente (“Tanti spunti, tante informazioni, tanti personaggi interessanti. Però neanche un’idea, non diciamo dirompente, ma almeno nuova, un punto di vista originale” (Giuseppe Sarcina, Corriere della Sera, 25 Gennaio).
E’ impressionante questa mancanza di pensiero. È la riprova che la maggioranza dei protagonisti si rifiuta pervicacemente di accettare che in economia è necessaria una rotta nuova ed una nuova strategia, che è necessario cambiare molti paradigmi di base. E’ da questo rifiuto, che ha natura ideologica, che deriva l’incapacità di pensiero. Ciò vale anche per le imprese. Oggi, da noi, emergono nuovi fattori positivi effettivi (diminuzione del prezzo del petrolio, rivalutazione del dollaro, migliore organizzazione del lavoro con effetti certamente limitati per le imprese, ma significativi per il sistema), che legittimano, per la prima volta, modeste prospettive reali di ripresa dell’industria manifatturiera ed esportatrice. Ma ciò non basta. Non basta un ricupero di natura congiunturale.
L’impresa italiana deve fare un salto di qualità sul piano intellettuale e comportamentale. Deve uscire da questo doloroso e lungo travaglio, migliore, più forte, più adatta ai nuovi tempi, più proiettata al futuro. E per questo deve crescere qualitativamente e intellettualmente su vari fronti:
- L’impresa deve essere più cosciente del suo ruolo fondamentale nel disegno di sviluppo del paese e delle sue responsabilità pubbliche;
- L’impresa deve riprendere ad investire in modo importante sul futuro (il “quantitative easing” da solo alimenta solo le bolle speculative);
- L’impresa deve migliorare moltissimo i suoi modelli di governance e organizzativi e liberarsi dal familismo (degenerazione dell’impresa familiare che è, invece, fattore di forza);
- L’impresa deve far crescere al suo interno un più elevato rispetto per il lavoro in tutte le sue forme, per la conoscenza, per la partecipazione;
- L’impresa deve far proprie con più profondità e coerenza le nuove tecnologie digitali;
- I diritti/doveri di tutti, a partire da quelli dell’imprenditore devono essere ripensati e riorganizzati in schemi di potere/responsabilità molto più rispondenti alle sfide dei tempi, che si sono molto alzate rispetto a quelle che erano prima dello scoppiare della crisi;
- L’impresa infine deve essere liberata dalla pestilenziale cultura della finanziarizzazione, che è un modo di pensare e di giudicare solo e sempre basato sul ritorno a breve termine, in base a parametri contabili/finanziari, ottusi e ciechi.
È questa la malattia più grave che ha pervaso non solo il mondo dell’impresa ma tutta la società. Ragionando e valutando secondo gli odierni schemi della finanziarizzazione, i milanesi non avrebbero mai scavato il Naviglio Grande, non avrebbero mai eretto il Duomo, non avrebbero mai costruito il Policlinico, non avrebbero né la Cattolica, né la Bocconi e neanche il Politecnico. Con gli schemi della finanziarizzazione dominanti oggi, Milano sarebbe un deserto. L’impresa e l’imprenditorialità sono visione, coraggio, sono il trovare le strade per fare di più con meno, sono trovare le risorse quando sembra che non ci siano. Per progetti giusti e utili, le risorse ci sono sempre in qualche luogo. Basta andarle a cercare ed essere affidabili. L’affermazione che abbiamo sentito risuonare in tante occasioni negli ultimi anni: “non ci sono i soldi”, è l’alibi degli impotenti. Poco tempo fa, in occasione del premio Nonino, la filosofa Martha Nussbaum, uno dei forti pensatori del nostro tempo, ha detto: “Viviamo in un periodo che è una vera sfida per l’umanità come mai lo è stato in anni recenti, un periodo che mette alla prova i valori della comprensione umana, il reciproco rispetto, e la compassione”.
Ed ha elencato i valori più necessari per fronteggiare il difficile futuro. Questi valori, o “propositi” come lei li ha anche chiamati, sembrano a me molto indicati anche per l’impresa, se vogliamo che essa non si attesti su una mera attesa di ripresa congiunturale, ma contribuisca ad una vera e propria opera d ricostruzione, di sè stessa e del paese:
- Intelligenza prima di tutto
- Coerenza di principi
- Immaginazione
- Lavoro di squadra
- Speranza